martedì 28 ottobre 2008

ROBA MIA


Sapete, questo blog è nato per caso, è spuntato come un fungo nell'enorme distesa confusionaria di questa rete che è internet: una fonte inesauribile di informazioni, un abisso oscuro e sconosciuto, colonizzato da una cultura totale, da quella più oscena e idiota, a quella più eccelza e assolutamente intellettuale.
La mia passione di scrivere, il mio bisogno di battere sui tasti, lo strofinarmi gli occhi, o fissare il muro, alla ricerca di quel pensiero, nn sono e non devono essere ripagati da nessuno.
Queste righe sono una liberazione per me, come il primo respiro fuori dall'ufficio, arrivato il venerdi sera, sono la forza esplosiva che ti pulsa nelle vene, dopo una promozione, sono il Mario Egidi con le cuffie alle orecchie, o il Cristiano Palesini con il pallone tra i piedi, queste righe sono la sigaretta dopo il caffè o l'acqua dopo il solleone;
Questo blog nn è una parentesi comica, un teatrino per compiacere i naufraghi di internet, ne un work-shop del gossip, è ciò che è dentro la mia testa, giusto, sbagliato, comico, ridicolo, ma c'è, e mi piace mischiarlo con altri pensieri e riflessioni, mi piace indugiare su ciò che scrivete e catapultarmi nei miei ricordi, giocare con il mio futuro e massacrarmi il cervello su uno stupido blog,piuttosto che davanti ad una televisione.
Sinceramente non mi interessa chi condivide il mio strambo modo di pensare, che partorisce commenti (vedi l'ultimo), che farebbero ridere anche un bambino che ha appena scoperto l'inchiostro,nn mi interessa chi mi onorerà della sua presenza, ma sono sicuro che tra i tanti naufraghi di questo universo informatico, c'è chi rispetta lo spazio altrui, senza nascondersi dietro i satelliti dell'anonimato.
Proprio per questi energumeni misteriosi e nullafacenti, invito a solcare altre onde, lasciandomi libero, almeno in ciò che mi appartiene, libero di scivere NEL MIO SPAZIO, libero di screllare nel mio blog, insomma, libero....

sabato 11 ottobre 2008

PAPALE PAPALE


Forse mi davate per morto, forse per disperso, disteso in qualche vicolo anconetano, alla luce di un lampione, sotto effetto dei miei pensieri contorti, o forse mi davate per fidanzato, estasiato tra le braccia di qlc dolce e seducente diciottenne, con le converse viola e la felpa "Fornarina", o magari scappato lontano, in cerca del mio completamento, alla rincorsa del deterrente, della pozione, del siero contro la mia eterna incompletezza, ma invece sono ancora qua, a scrivere su questa pagina nera, che racconta di vita, cazzate e pensieri.

Proprio l'altra sera, mentre la musica librava leggera, e l'unica lampadina sopravvissuta nella mia camera, tirava gli ultimi sospiri, tra fogli ingialliti, vecchie multe e appunti inutili, ha fatto capolino una foto: il cielo era azzurro, come la mia età su quella foto, sullo sfondo c'era un campo di terra, e di seguito una chiesa.
C'era un bimbo nella foto, con un grande sorriso e degli altrettanto grandi occhiali, che se ne stavano appesi sulla punta del naso, pronti a saltare;
sopra una fronte spaziosa, si affacciava curioso un ciuffo riccio, più vicino ad un ammasso di lana che a capelli, sembrava un cartone animato quel bimbo, con la sua maglietta colorata, i suoi calzoncini corti e scoloriti dai divertimenti e quelle scarpe, bianche, anonime, senza importanza, solo un "copri piedi" per calciare il pallone.
Quel bimbo ero io.
Le mie giornate inizavano quando il campanello suonava: schizzavo in piedi come elettrizzato, prendevo i calzini oserei dire asfisianti che mettevo da una settimana, la prima maglia che mi capitava tra i binari, e le scarpe le infilavo saltellando, mentre gli occhi ancora erano chiusi.
Aprivo la porta e si spalancava innanzi a me la devastante spensieratezza, gioia e frenesia della mia età, ogni cosa mi sembrava in armonia con quel giorno, dalla mia bici appoggiata al muro, al muretto sporco dalle pallonate, alla polvere del campetto ed il suo odore di terra ed erba che nn scorderò mai.
Non c'erano orari, se non quelli dei miei, non c'era giorno e notte, se non per la luce ed il buio, non esistevano regole, se non quelle dei grandi, ma c'eravamo io e la mia innocenza.

Poi ad un tratto le cose si sono offuscate, la mia contea si è estesa oltre San Pio, l'orologio si è fatto avanti e con lui le regole, ho scoperto la frustrazione, la vergogna e la timidezza, ho conosciuto il rimanere senza parole, la gola secca e l'ansia, ho scoperto LE DONNE.

Mio Dio le donne, che terribili amabili boccioli in un sinistro giardino di ortiche, che fasci di luce bianca, tra le grigie nuvole di un cielo di Novembre, non solo decidono la fine della nostra celestiale infanzia, ma fischiano anche il termine della nostra età più bella, quando i tuoi pilastri, le tue colonne, sono gli amici, le pippe e le birre,;
noi, poveri illusi di essere il sesso forte, che ci crogioliamo e ci vendiamo come i duri, quelli che rimangono intrappolati nelle loro tele di lenzuola e carezze, avvelenati dal loro dolce siero di piacere, schiavi delle loro labbra e padroni solo di un inutile violenza, scaviamo le nostre fosse e ci seppelliamo da soli, ma con il sorriso sulle labbra.

Dove sono tutti ora? Dov è quel gruppo di sgallettati dalle scarpe slacciate e le fronti gocciolanti di sudore? Ora, se mi stacco da questa foto, e torno alla luce della mia lampadina, li vedo tutti, uguali ad allora, ma con venti cm in più, e magari con una folta barba, ma sono sempre loro, sui loro passi e nelle loro smorfie, nelle esclamazioni e nei sorrisi, e mentre stringono le mani delle loro dee, delle loro mue ispiratrici e mappe verso il futuro, non c'è posto per nessun'altro, neanche per amico....
La cosa più cruda e vera, e che probabilmente l'incantesimo scenderà anche su di me, e probabilmente sarò felice di sacrificare quella che è l'amicizia oggi, per l'amore domani.

Ma quanto sono romantico????