mercoledì 30 luglio 2008

CHIRURGIA GENERALE, letto 11


Questa è una storia, o meglio un esperienza, che senza dubbio alcuno, passerà tra le sabbie delle vostre menti, talmente veloce e sfuggente, che non lascerà traccia, se non partorendo un debole sorriso, o un sospiro annoiato.

Luci, luci, luci, come acqua negli occhi, sfilavano veloci davanti a me, il cigolio sinistro delle rotelle, si sposava perfettamente con il mio sobbalzare, mi sembrava di essere in uno stato di dormiveglia, una culla adagiata su un otto volante, correva veloce il siero del divin sollievo nelle vene, nei tessuti e nelle viscere, brindava, festeggiando ad una festa inibitoria, i miei sensi;
luci, sobbalzi, luci, carezze, luci, cigolii, luci, bisbigli....ombra e silenzio:
benvenuti nel reparto di chirurgia generale, stanza 11.....

L'aria era cambiata, un odore aspro e forte, varichina.., o forse antisettico.., no forse più sapone, un'essenza violenta al naso, le labbra mimavano parole, e le mani stringevano il lenzuolo... poi buio.

La luce di una timida alba, scivolava sui vetri, un sottofondo lieve, come di aria uscita da un compressore, cantava monotona, tutto era piatto, mentre aprivo le palpebre.
Davanti a me un anziano, sprofondato su una miriade di cuscini, curvo e nell'ombra, come un fanciullo nel suo nascondiglio in soffitta, potevo sentire il suo respiro affannoso e profondo, interrotto da colpi di tosse, simili a ruggiti, cori gravi, che venivano dalle viscere, grida folli, maledizione da tabacco.
Quella figura antica e quasi misteriosa, era FRANCESCO, grande compagno e maestro, il cicerone zoppicante ma forte, della mia permanenza non proprio di piacere, in un posto che mi aveva sempre conosciuto come visitatore, e mai come ospite.
Mentre andavo al suo cospetto, come un suddito al suo re, mi fissava attento, dal suo trono di lenzuola e sudore, buffo e muto: era pallido in viso, le sue rughe, ed i solchi sul suo volto, parlavano di antichi viaggi e lunghe rotte, quando il suo sguardo si ergeva all'orizzonte, abbracciando i mari di tutto il mondo.

Era buffo, con i suoi capelli di seta bianca, alti sulla testa, testimoni di conoscenza e stanchezza, non uno sguardo stanco e provato da anni di salsedine, pianti e risate, ma un espressione viva e sorprendentemente vorace di vita.
Ciò che era più scioccante, in un corpo adagiato e curvo sui suoi anni, erano i suoi occhi: ti fissava affamato e sveglio, ti gettava in quei scuri pozzi saturi di vita, dove trovavi ancora il bambino, la sua innocenza e la sua ingenuità, il riflesso delle loro acque scure, era la preghiera di chi ancora ha voglia di vivere, anche se con duri compromessi.
Vedevo Francesco e la sua dolce vecchia, tenera metà, dopo 65 anni di matrimonio, che ancora rimanevano a fissarsi negli occhi, ancora erano decisi a non perdere un attimo, un solo attimo, prima che la favola finisca, prima che il saggio libro delle loro storia, si chiuda con un tonfo;

mi ha sorpreso, quando, dopo averlo conosciuto, incatenato da tubi e mascherina, l'ho ritrovato il giorno dopo, seduto come un papa, mentre baciava i nipoti, ed anche se ancora non trovava la forza per le parole, i suoi occhi gridavano amore, un amore da fare male;

mi ha fatto sorridere Francesco, con le sue sfuriate da palcoscenico, le sue visioni da anestetico, e le sue scenate forti e violente, conseguenza di quelle ore, dentro una sala operatoria;

mi ha fatto piangere Francesco, nel cuore della notte, una notte che dentro quelle camere sembrava ancor più nera, con le sue grida rabbiose, il rumore delle sbarre agitate dai suoi pugni ancora forti, come un martire agonizzante, potevo sentire o lo sforzo spastico dei suoi muscoli ed il suo contorcersi tra le lenzuola, mentre tutt'intorno era silenzio.

Voi direte quale è il senso di questo scritto, se c'è un senso, mi chiederete quale altra strana patologia, abbia banchettato con le mie cellule, e invece no....
Non chiedetemi il senso, le sue parole, la sua infinita giovinezza e voglia di vivere mi hanno scioccato, hanno travolto le mie paranoie da ingenuo giovincello, hanno schiacciato le mie inutili insofferenze ed i miei acerbi malesseri, perchè di tanto in tanto, noi, gli astri nascenti di una società in decadenza, dobbiamo riscoprire quanto bello sia vivere.

Felice di essere stato 5 giorni in una camera di ospedale, chirurgia generale, letto 11.

Grazie mio caro direttore sala macchine.


giovedì 17 luglio 2008

VU' CUMPRA'?: scuola di vita


Mi chiamo Joan, sono senegalese, e vivo da un anno in un piccolo paese al confine tra Marche ed Abruzzo di nome Martinsicuro.
La mia professione è quella di vendere tappeti e all'occorrenza anche cd ai bagnanti, detto in italiano, sono un "Vu cumprà".....
Passo le mie giornate schiacciato tra il sole violento e la sabbia arroventata, mentre i 10 kg di tappeti addormentati sulla mia spalla, mi fanno compagnia, coi i loro colori sgargianti ed il loro odore, che mi ricorda la mia terra.
Anche se le mie gambe tremano e la mia pelle scotta, ho sempre un sorriso per tutti, mi piace toccare le persone, stringere la mano, e parlare con loro, non per forza di occhiali da sole o tappeti, ma di vita; mi piace guardarmi intorno, osservare ed apprendere da questo paese, tanto tanto avanti, e tanto tanto indietro.
Quando arrivano le nove di sera, dopo circa 12 ore di camminata, ci si ritrova tutti e si scherza, senza pensare alla giornata, la gambe non tremano più, l'aria è fresca ed i miei tappeti volano sulla sabbia, mentre un pallone ci rotola tra le gambe.
Quando arriva la sera, e ci raduniamo per i conti sulla giornata, mi piace tornare con la mente a un 2 anni fa, quando mi svegliavo con mia moglie accanto, mentre i nostri 2 bambini ci correvano intorno; ricordo il rumore dei sassi sotto i piedi la mattina quando uscivo per lavorare, ed il loro piacevole solletico, ricordo i visi dei miei figli, costantemente sporchi di polvere bianca, appassionati di pallone....come il papà; ricordo quella sera, in cui ho promesso a mia moglie, che sarei partito, e che ogni goccia del mio sudore, sarebbe stato pane da riportare alla mia famiglia.


Mi chiamo xxx, lavoro come vigile urbano, ed il mio mestiere, è quello di mantenere l'ordine della città.
Giro in pantofole a casa e quando non sono in servizio, mi dedico a lunghe passeggiate al mare, ma la mattina, quando indosso la mia divisa ed il mio beretto, non ce n è piu per nessuno.
Oltre che girovagare per ore con la bici, parlare del più e del meno con qualche anziano, e fermare di tanto in tanto il traffico, per far passare un passegino, mi piace rincorrere i neri, per le vie, mentre trascinano i loro sacchi, seminando ferraglia per le strade.
Mi guardano con quegli occhi cosi innocenti, e tremano sotto il mio sguardo, cercando un pò di compassione, che io non ho, ed a me piace.
L'altra mattina, mi sono sentito molto utile per la mia città, mentre gattonavo tra i lettini sotto il sole di mezzogiorno, inseguendo un nero sulla spiaggia: o fatto più di 2 km, balzando di chalet in chalet, con la divisa tutta bagnata di sudore, le scarpe piene di sabbia, ed una rabbia inspiegabile.
Dopo due ore e mezza di estenuante inseguimento, finalmente ho terminato il mio lavoro: nel sacco aveva 20 paia di occhiali da sole e 2 paia di scarpe:

TUTTO è BENE CIò CHE FINISCE BENE.

PS: "Amore, per i soldi dovrai aspettare un altro mese, arrangiati con le spese di casa, cerca di far mangiare i bambini...mi hanno beccato..."

PPS: "Amore, ricordi i cd che mi avevi chiesto? Te l ho appogiati vicino al tel..."


E mentre voi giocate a guardia e ladri con chi muore di fame, la città vi guarda ed esulta delle vostre sventure.....rifletteteci.